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THE BUNNY GAME – Adam Rehmeier

Written by Melania Colagiorgio

Sylvia Gray vive per strada, Bunny è il suo nome da prostituta, nauseata dagli uomini e dal tipo di vita, si “sostiene” con la cocaina. Cliente dopo cliente, bestialità dopo bestialità, Bunny non ce la fa più … l’ennesimo cliente la sevizia e a deruba, ma ancora non ha toccato il fondo.

Incontra un camionista dai gusti sessuali insoliti, a cui non importa se il partner sia consenziente o meno, anzi meglio che non lo sia affatto così Bunny si ritrova legata nel retro di un camion. L’uomo è strambo, rade i capelli delle vittime, le umilia fisicamente e psicologicamente,  tratta la donna come se fosse un animale da allevamento, la  cura, le controlla i denti,  la “addestra” e la marchia a fuoco. Riprende le varie scene, le usa per masturbarsi eccitato dalla paura, dall’impotenza della donna, mentre Bunny è stanca e sfibrata, sull’orlo della pazzia, in un gioco privo di regole se non quelle imposte dall’aguzzino. Le fa male senza mai ferirla, la tiene appesa senza mai violentarla, la lega al guinzaglio, affida il destino della donna alla sorte.

Ammetto di aver avuto grosse aspettative da questo film, on-line sembra apprezzato, addirittura censurato in Inghilterra. Per i primi due minuti la pellicola ha assecondato quest’attesa. Per questo ho impiegato un po’ di tempo prima di rassegnarmi all’idea che THE BUNNY GAME sia in realtà  robaccia incapace di entusiasmare chiunque. Il film è privo di sceneggiatura, lo spettatore si vede sfilare davanti una serie di fotogrammi spogli di coesione e di senso che, per di più, si ripetono alternativamente.

Il regista Adam Rehmeier, presente e bocciato dal pubblico del  Ravenna Nightmare Film Festival 2011, tornato a casa ha commentato la sua presenza come un’esperienza grandiosa in cui ha affrontato con successo le domande di un pubblico esigente e intelligente. E cosa ancora più grave, malgrado i fischi in sala, il regista continua ad avere la convinzione di aver realizzato un capolavoro catartico e di aver sublimato la paura dell’attrice protagonista, Rodleen Getsic, realmente vittima di un rapimento che, insieme al regista, ha cercato di ricreare le stesse paure e le stesse sensazioni di quella (brutta) avventura. Volendo accettare la giustificazione del regista secondo cui il film è un modo per esorcizzare e superare tale esperienza, ha anche ragione lo spettatore che si chiede perché dover assistere a questa  personale vicenda se, in cambio, non si ottiene nessuna emozione a parte noia e rabbia. Va menzionato anche il protagonista maschile, Jeff F. Renfro, un vero autista di camion che il regista ha scovato su un set.

Nessun suono, a parte il pianto cantilenante della protagonista, nessun colore, un forte senso di repulsione che spinge lo spettatore ad abbandonare la visione. Inguardabile.

VOTO: 2.5/10

Studio: Death Mountain Productions
Director: Adam Rehmeier
Starring: Rodleen Getsic, Jeff F. Renfro, Gregg Gilmore, Norwood Fisher

Posted in Cinema and Film and Horror and Indie and Medio/Lungometraggio by Melania Colagiorgio on novembre 9th, 2011 at %H:%M.

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