IZO – Takashi Miike
Epoca Edo. La condanna a morte è la punizione per lo spietato samurai Izo, ma il suo desiderio di vendetta è tale da farlo reincarnare, trasformandolo lentamente in un demone dalle fattezze umane che, impossibilitato a morire, vaga sulla terra spazzando via tutte le persone che incontra senza distinzioni tra uomini e donne, anziani e bambini.
Come al solito il regista nipponico ci spiazza con una pellicola che fuoriesce da qualsiasi schema o logica, catapultandoci in un mondo dove il concetto di spazio/tempo esplode sotto le continue incursioni del guerriero che vaga da una dimensione all’altra massacrando ogni forma di vita senza un perché. E’ questa la punta di diamante di Izo, la morte per il guerriero è condizione di esistenza, non vi è uno scopo proprio perché è il karma a muovere le fila delle sue marionette. In questo senso Izo diventa un burattino animato dalla pulsione verso il sangue, capace di muoversi attraverso i secoli trucidando avversari mostruosi o umani, uccidendo la propria (presunta) madre e vacillando fino a raggiungere sua altezza imperiale, vetta del suo percorso che lo ricongiunge all’epilogo umano del samurai (la presenza del serpente che si morde la coda, simbolo dell’Ourobouros non è casuale).
In una giostra di rosso sangue si susseguono riprese sgranate, montaggi esasperanti, situazioni irreali, demoni ed esseri umani, reperti storici della seconda guerra mondiale, scene di sesso incestuose, duelli ai limiti del cappa e spada e sparatorie esagerate, il tutto condito con un gusto del non-sense spiazzante ma anche fresco ed originale. La vera pecca di Izo risiede in una ripetitività che spinge fino allo spasimo le due ore di violenza che, alla fine, si trasformano in un’orgia difficile da sopportare per intero senza annoiarsi. Comunque è sempre più giustificata la denominazione di Takashi Miike come “terrorista di generi” o “tarantino orientale”, prolific(issim)o autore capace di inventarsi opere anomale e accattivanti.
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