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SAARTJIE BAARTMAN: LA VENERE OTTENTOTTE

Written by Melania Colagiorgio

SAARTJIE BAARTMAN

La parola “ottentotta” deriva dall’olandese e vuol dire balbuziente, una parola difficile da pronunciare, derivante dalla lingua khoisan, caratterizzata da un insieme peculiare di suoni ripetuti. Un tempo i khoikhoi vivevano ben organizzati in grosse tribù in autonomia lungo tutto il Sud Africa, furono però decimati dai Bantu e poi dai coloni bianchi. Ne restano ormai pochi discendenti che, attualmente, vivono in Namibia. Ormai le loro usanze, i riti, e le abitudini sono state contaminate da altre culture e da altri popoli.

Vediamo adesso come Saartjie Baartman sia diventata simbolo di un’identità nazionale rivendicata con forza, emblema di quel razzismo scientifico perpetuato per anni, secondo cui i khoikhoi erano una razza inferiore, addirittura l’anello mancante tra gli esseri umani bianchi e la scimmia.

Nata nel 1789 in un villaggio ottentotto del Sud Africa di etnia Khoikhoi, rimane orfana e vedova nello stesso giorno. Stava, infatti, celebrando il suo matrimonio quando l’intero villaggio fu attaccato da un raid boero. Schiavizzata e trasferita a Città del Capo, non si è mai saputo quale fosse il suo vero nome: Saartjie, infatti, vuol dire “Piccola Sara”, diminutivo datole dalla famiglia di Boeri presso cui andò a vivere a Città del Capo, forse a causa della sua bassa statura 1,35 m.

La donna restò schiava per qualche tempo, ma il suo destino cambiò di nuovo quando incontrò Hendrick Caezar, il fratello del suo proprietario, il quale pensò che la sua fisicità potesse costituire una buona fonte di guadagno e decise di portarla a Londra e sfruttare lei e l’interesse per i fenomeni da baraccone. Era il periodo in cui i Freaks erano di moda, attiravano spettatori spinti da una morbosa curiosità verso il diverso, lo sconosciuto e l’inconsueto, divertendosi con le deformità altrui come in un enorme circo. Saartjie, alla promessa di un sicuro benessere, fu trasferita a Londra nel 1910, così fu messa in mostra in alcuni club a Piccadilly per un certo periodo.

Veste di un colore simile alla sua pelle. L’abito rende evidente l’intera struttura del corpo, e gli spettatori  sono perfino invitati a esaminare la peculiarità delle sue forme.”.  Si leggeva sul Times il 26 novembre del 1810

SAARTJIE BAARTMAN

In un attillato abito color carne con collane africane e piume di struzzo, rappresentava il sogno di ogni giornalista in cerca di scoop. Saartjie fu anche mezzo per colpire il Re Giorgio ormai politicamente in declino. Questo perché egli si permetteva un tale scempio in un’epoca di lotte per l’abolizione della schiavitù, le associazioni antischiavisti protestarono e il suo padrone fu messo sotto indagine per sfruttamento.

A voler ben pensare pare che effettivamente Saartjie era consapevole di quello che faceva e accettava di farlo per la metà dei guadagni. Si metteva in mostra come se fosse una bestia, in catene, o in gabbia fingendosi aggressiva, più simile ad un animale selvatico che ad una donna; mostrava la sua tipica fisicità, la sua steatopigia da ottentotta, così lontana dalla fisicità europea. Saartjie però non era selvaggia, aveva la sua tradizione, parlava l’olandese, era consapevole di quello che faceva, mal sopportava tutto questo e aveva cominciato a bere. Ironicamente a causa dell’abolizione della schiavitù le cose per Saartjie peggiorarono, sul territorio britannico, infatti, la schiavitù era vietata dal 1807, le fu tolta quella minima illusione di lavorare per se stessa, le sue esibizioni davano scandalo. Vi fu un processo in cui Saartjie dichiarò di non essere schiava, di avere un accordo e di essere regolarmente pagata, ma durante il processo si mostrò contraddittoria e non fu creduta. Molti si chiedevano quale sarebbe stata l’alternativa per lei, quale vita avrebbe potuto fare se avesse ammesso di essere tenuta in schiava e rilasciata? Sarebbe tornata in Africa a riprendere la sua vita da serva e sfruttata.

 Saartjie fu venduta e portata in Francia. Ridotta sempre allo stato di fenomeno da baraccone, questa volta lo fu però in maniera ancora più bassa e bieca.

Caratteristica delle Ottentotte non è solo un grande fondoschiena ma anche genitali estremamente importanti. Le piccole labbra di Saartjie erano allungate secondo la tradizione khoikhoi, mostrando il cosiddetto grembiule ottentotto, e questa era un’altra potenziale attrazione.

La longininfia è caratterizzata dallo sviluppo delle piccole labbra; le ragazze ottentotte, una volta giunte la pubertà cercavano di allungarle in tutti i modi possibili. Nel 1896 George M. Gould e Walter L. Pyle pubblicano Anomalies and Curiosities of Medicine; i due raccontano amenità come questa: “Le più civette tra le ragazze accettano per un eccesso di vanità di sottoporsi ad allungamenti artificiali delle piccole e delle grandi labbra. Si dice che tirino e sfreghino queste parti e che addirittura le stendano appendendo loro dei pesi… perché questa deformazione affascina i maschi di quella razza.” Ricorrevano anche alla magia: uccidevano un pipistrello, ne tagliavano le ali, e le bruciavano, mescolavano le ceneri con del grasso, si incidevano le piccole labbra e spalmano l’unguento ottenuto sperando che diventassero grandi come ali.

E’ una pratica appartenente alla preistoria, tuttora utilizzata non solo nelle culture di certe zone dell’Africa ma anche da ragazze di altre popolazioni. Secondo la tradizione, maggiori sono le piccole labbra maggiore è il piacere sessuale procurato all’ uomo che ha più carne in cui affondare il pene. Le ragazze si aiutano tra di loro, imparano come fare, che tipo di oli usare finché non si riesce a vantare piccole labbra allungate fino a 10 cm.

SAARTJIE BAARTMAN

In Francia, Saartjie cominciò ad esibirsi nei salotti della nobiltà più decadente, danzando in maniera provocante. Gli spettatori facevano di tutto per sbirciare, oltre alle natiche, anche l’altra parte anatomica per cui era famosa, che la donna non mostrava mai direttamente in pubblico, finché non attirò l’attenzione di molti studiosi, naturalisti e scienziati, tra questi Georges Cuvier, docente di storia naturale al Collège de France. La venere ottentotta non era un’africana qualunque, gli scienziati la spogliarono, la visitarono e studiarono, osservando ogni anfratto del suo corpo. Secondo Cuvier, Sarah era servizievole e disponibile a spogliarsi”era facile guardarla e ritrarla nuda. Era obbediente e docile, finché non le si chiedeva di mostrare i suoi genitali e la sua longininfia, solo allora ella allora si ribellava e si ritraeva procurando problemi al suo nuovo padrone.  Presto divenne un’attrazione difficile da gestire e per il suo padrone non era più un buon affare. Fu costretta a prostituirsi per sopravvivere, la sua specialità era richiesta, ma lei sempre più rassegnata si alienò completamente dal suo corpo, ancora spiato, usato, toccato, fino a che non ne fu compromessa la sua salute. Prese un’infezione, dai segni trovati sul corpo, si pensa sia vaiolo. Morì nel 1915, a solo 25 anni dopo averne passati 5 infernali.

 La povera Saartjie non trovò pace nemmeno dopo morta, il dottor Henri Marie Ducrotay de Blainville le fece un’autopsia, il suo scheletro, i suoi genitali e il suo cervello furono messi in mostra al Musée de l’homme, fu fatto un calco di tutta la sua figura e il tutto fu esposto fino al 1974 quando i suoi resti furono nascosti alla vista.

Nel 2010 fu girato il film Venus Noir, presentato a Venezia, quasi del tutto ignorato e presto dimenticato. Il regista Abdellatif Kechiche narra la storia di Sara con incredibile obiettività, senza mai condannare apertamente nessun comportamento. La sua telecamera è testimone degli eventi subiti da Saartjie, di cui non capiremo mai i reali sentimenti, se non di disgusto e aberrazione per quel destino a cui però si abbandona. Un film duro difficile da accettare, da guardare perché siamo attratti istintivamente dai fenomeni da baraccone. L’attrice che interpreta la protagonista, Yahima Torres è stata capace di mostrare il proprio corpo regalando una certa fierezza e un certo orgoglio a Saartjie. Estremamente realistico e feroce il film uscì in Italia rimase in programmazione solo per una settimana, probabilmente perchè è un film esagerato, pericolosamente vero e cattivo nel raccontare 5 anni di vita. Non solo il regista non mostra mai il pensiero di Saartjie, ma si limita egli stesso a fare da spettatore mostrando i dettagli più volgari quasi con compiacimento. Mai un momento di pace per la protagonista come per lo spettatore, due ore e mezzo di pellicola, una vera e propria ricostruzione storica, capillare per ciò che riguarda Saartji, meno accurata per quanto la circonda, ma non importa nemmeno facciamo caso al mondo intorno a lei.

Sollievo  nelle scene finali, in cui sfilano le immagini originali della rimozione del suo corpo dal museo.

Saartjie Baartmann trovò il suo posto e la sua dignità solo nel 2002, anno in cui tornò nel suo Sud Africa grazie, all’intervento di Nelson Mandela. Le sono serviti più di 200 anni per finalmente riposare nella valle del Gamtoos, dove fu sepolta in cima ad una collina sovrastante Hankey. La “Piccola Sara” è adesso riconosciuta come simbolo del suo paese, delle sue donne e della loro femminilità: rappresenta la storia della sua società, della sua tradizione. A suo nome è stato fondato anche un centro per bambini e donne vittime di violenza domestica e soprusi.

Posted in Storia&Leggenda by Melania Colagiorgio on novembre 17th, 2015 at %H:%M.

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